L’ennesima morte di un ragazzo, Emanuele, di quindici anni, è davanti ai nostri occhi: una ferita che colpisce e interroga Napoli ancora una volta. In città e in provincia gli eventi criminosi commessi da giovani e adolescenti seminano morte, come purtroppo è accaduto anche a San Sebastiano al Vesuvio, dove per “futili motivi” è stato colpito un altro giovane, Santo Romano, diciannove anni. La città metropolitana è fuori controllo. Decine e decine di ragazze e ragazzi hanno perso la vita in questi anni tra le strade della città: vite spezzate da guerre di camorra, da violenze urbane, dalla marginalità, da contesti che vanno liberati dall’ingiustizia, dalla prevaricazione e dalla sopraffazione. Armi, troppe armi. Pistole, esplosivi, armi di medio e piccolo taglio circolano tra le strade, le piazze, i vicoli e le scuole della nostra Napoli e feriscono, ammazzano, provocando dolore e morte. Armi e droghe, troppo facili da acquistare. Armi e droghe che finiscono nelle mani di giovani, adolescenti, bambini. Armi che vengono utilizzate senza controllo di giorno come di notte, quando gran parte della città spesso è lasciata in balia di bande e criminalità.
Liberare Napoli dall’uso e dalla cultura delle armi è l’urgenza di questo tempo. Che necessita di una strategia politica e culturale che deve strutturarsi e radicarsi nei luoghi e nel tempo. Sono passati trentanove anni dall’articolo di Giancarlo Siani che parlava dei muschilli, di minori sfruttati dalla camorra nei propri affari. E siamo ancora qui, a guardare attoniti ragazzini colpiti, coinvolti e travolti dalle stesse logiche violente; che anziché indebolirsi, sembrano radicarsi. Oggi quei minori dispersi, disperati, abbandonati non sono spariti, si sono moltiplicati e sono ancora più soli, più arrabbiati, senza controllo, capaci di commettere errori e tragedie terribili a causa dell’ambiente in cui nascono, crescono e vivono; ambiente fatto di codici, linguaggi, gerarchie violente e prive di morale. Minori inesistenti per la politica, le istituzioni e l’opinione pubblica, salvo attenzionarli sempre e solo dopo l’avvenire di queste tragedie.
Come realtà di quartiere, parrocchie, scuole, cooperative, movimenti sociali, spazi culturali, biblioteche, associazioni sportive e presidi associativi sentiamo l’urgenza di prendere una posizione chiara e netta. Crediamo nell’educazione come potere di relazione, come possibilità di futuro, come opportunità per abbattere i muri di separazione che dividono Napoli in città diverse che convivono senza incontrarsi. Siamo consapevoli dei tanti progressi che la nostra città ha compiuto ma sentiamo l’esigenza insopprimibile di ribadire che non possiamo stare tranquilli fino a quando un bambino, un adolescente, un giovane ha meno possibilità di altri suoi coetanei perché nato in un contesto difficile che non offre alle famiglie gli strumenti per uscire dalle condizioni di marginalità, di povertà e di esclusione. Chiediamo inoltre che i temi dell’educazione, della prevenzione, dell’inclusione sociale delle fasce marginali devono tornare al centro del dibattito politico campano perché se è vero che i bambini non votano è ancor più vero – come è sotto gli occhi di tutti – che dalla loro educazione e dalle nostre strategie preventive passa il presente e il futuro della nostra città.
Serve che su Napoli e sulla Campania ci sia un “disegno” vero e lungimirante, frutto di un patto costante tra istituzioni, mondo del terzo settore, scuola, associazionismo, realtà imprenditoriali, chiese e realtà religiose: occorre un lavoro dignitoso, una sicurezza senza retorica, un controllo del territorio e un piano educativo straordinario che contempli interventi straordinari dagli asili all’età adulta, e non provvedimenti presi sull’onda mediatica e che puntano solo sulla repressione, senza prendere in carico le persone e i contesti.